BATTESIMO E VITA CRISTIANA


(Pedron Lino)

Ponendo queste due realtà di fronte e unendole con la congiunzione e, siamo chiaramente invitati a cogliere un rapporto. Ora siamo qui di fronte a uno dei casi in cui il rapporto si fa così profondo da tradursi in equazione. C’è un’equazione perfetta tra battesimo e vita cristiana; c’è un’equazione perfetta tra battesimo, perfezione e santità. L’apostolo Paolo chiama santi coloro che hanno ricevuto il battesimo. Evidentemente perché l’equazione regga, il sostantivo battesimo deve essere unito all’aggettivo vissuto: è il battesimo vissuto che fa il cristiano, il perfetto, il santo. Creare una vera equazione tra battesimo e vita: questo è tutto il senso della vita cristiana.

Il battesimo è per il cristiano ciò che la sorgente è per il fiume: è l’atto da cui sgorga la sua vita in Cristo. È l’inizio di una realtà che non avrà fine. È il più bello e il più magnifico dei doni di Dio (s. Gregorio Nazianzeno). Un dono così ricco che tutto quello che ci è donato dopo, non fa che perfezionare ciò che ci è stato dato allora: è quello che fa la cresima in ordine al dono dello Spirito Santo, e l’eucaristia in ordine alla vita divina e all’incorporazione a Cristo. È quello che avviene per la vita dell’uomo al momento della nascita: c’è già in germe tutto l’uomo di domani: energie vitali, facoltà, attitudini, propensioni sono tutte raccolte in quel fragile essere che si affaccia alla vita, e non avranno che da svilupparsi e da maturare attraverso quel gioco complesso di esperienze che è la vita. Raramente una analogia umana si rivela così pertinente ad illustrare un dato di fede. Se ne è servito lo stesso Gesù che ha detto a Nicodemo: Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto (Gv 3,7). In quell’atto è riassunta tutta la vita cristiana: il seguito non è che sviluppo, esplicitazione, compimento. Tutto l’arco del nostro destino soprannaturale, dalla prima iniziativa con cui Cristo afferra la nostra vita, fino alla conclusione gloriosa, ha nel battesimo il suo fondamento e il suo fulcro. Là sono già presenti tutte le tappe del cammino, tutte le virtualità da sviluppare, e sono già fissate le leggi fondamentali di questo stesso progresso che deve portare a perfezione nel cristiano la pasqua di Cristo.

All’ingresso di alcuni battisteri antichi si legge: ianua vitae spiritualis, porta, ingresso della vita spirituale. E questa idea poggia su tutta la dottrina di s. Paolo; trova una stupenda illustrazione nelle catechesi dei grandi vescovi antichi e nella stessa liturgia battesimale antica e nuova. Quando nella vita della chiesa si abbozza un rinnovamento, esso alimenta il suo slancio dalla riscoperta della grazia battesimale.

 

LA SVOLTA DECISIVA DELL’ESISTENZA

Si tratta ora di cogliere gli aspetti più impegnativi della grazia battesimale. Essa ci appare anzitutto come un taglio netto e definitivo, che imprime alla vita un nuovo orientamento, che esige una rottura e una palingenesi radicale, cioè una nuova nascita. Certo nessun momento della vita appare di un peso, di un’importanza così decisiva. È più decisivo ancora di quel momento misterioso e sacro in cui ci siamo affacciati alla vita: tanto più decisivo e importante quanto la vita di Dio trascende la fragile vita dell’uomo. È più importante del momento della morte dal quale dipende l’eternità, perché questa in fondo non porterà nulla di sostanzialmente nuovo; sarà la caduta di un velo che farà apparire nella gloria ciò che già siamo. Lo ha detto stupendamente Paolo: Voi siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria (Col 3,3-4). Tutto è già cambiato e trasformato: ma in quel giorno si manifesterà, si rivelerà nella sua bellezza eterna. Per questo la liturgia della morte è tutta segnata dall’impronta battesimale. Una antica iscrizione dice che la morte è il compimento del battesimo.

Nella lettera a Tito (3,5), Paolo parla perciò di un lavacro di rigenerazione, cioè di una nuova nascita. La novità non potrebbe essere più radicale: si entra nel mondo divino. È un salto dalle dimensioni infinite, è una nascita dall’alto, da Dio, ed è un’altezza che fa venire il capogiro. Non finiremo mai di entrare nel mistero di queste parole che leggiamo nella seconda lettera di Pietro (1,4): siete diventati partecipi della natura divina.

Come è urgente che noi, popolo cristiano, ricuperiamo la coscienza esaltante di appartenere al mondo divino con le radici più profonde del nostro essere. Siamo stati battezzati nel nome della Trinità (èis to ònoma dice il testo greco) dunque nel senso dinamico, per essere introdotti nel nome di Dio, nel mistero della sua vita intima.

È la novità radicale di una nascita, siamo creati di nuovo: Siamo opera di Dio, creati in Cristo Gesù (Ef 2,10). Tutti sappiamo con quale insistenza Paolo ritorna sul tema dell’uomo nuovo, della nuova creatura.

Questa situazione divina in cui siamo immersi è gravida di conseguenze.

Esige anzitutto una rottura con la vita anteriore, e una rottura totale. C’è un prima e un poi. Molti testi battesimali di Paolo sono costruiti su questo schema; tra i due momenti il battesimo segna la rottura: prima eravamo tenebre, ora siamo luce; prima eravamo nella schiavitù del peccato ora siamo nella libertà dei figli di Dio. Questa opposizione è espressa con un’unica formula energica: l’uomo vecchio - l’uomo nuovo. Il battesimo fa passare dall’uno all’altro; ci spoglia del primo e ci riveste del secondo; proprio come facevano i neofiti, al momento di entrare nella piscina battesimale, spogliandosi dei vecchi abiti e assumendo una veste candida.

Tutto questo esige di tradursi nella concretezza dei fatti; bisogna camminare in novità di vita (Rm 6,3-5); bisogna orientare in modo nuovo tutto il comportamento. In termine biblico: ci vuole una conversione. L’appello alla conversione è sempre presente nell’annuncio cristiano della salvezza e Pietro ne fa una condizione essenziale per accedere al battesimo: All’udire questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro, e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare fratelli?". E Pietro disse: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati" (At 2,37-38). Sorge però subito per noi un problema. Che senso ha tutto questo nel battesimo dei bambini? Come possono mutare una condotta che non si è ancora delineata? Dove va a finire il carattere drammatico del battesimo antico che comportava una scelta cosciente e poneva il sigillo divino a un laborioso cammino di conversione? Cessa il battesimo di essere un’esperienza?

Per rispondere è utile rifarsi all’esperienza di Paolo. Per lui la teologia battesimale, la teologia della vita cristiana, non è frutto di speculazione; sgorga da un fatto decisivo, quello avvenuto sulla via di Damasco. Lì si colloca la sua esperienza maggiore di fronte alla quale tutte le altre si rivelano secondarie. Non è stato buttato a terra solo il suo corpo: tutto in lui si è rovesciato. Ha visto davanti a sé il Cristo vivente e risorto, e istantaneamente ha aderito a lui: ha creduto. Il mutamento non poteva essere più radicale: da persecutore è diventato apostolo. Tutto ciò è sanzionato dal battesimo dato da Anania, che gli dice: E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome (At 22,16). Questa esperienza lo ha aiutato a cogliere alcune idee che domineranno tutto il suo pensiero: la totale gratuità dell’iniziativa divina e del suo dono che in un istante lo trasforma, senza apparente preparazione; il posto che hanno la croce e la risurrezione nel progetto della salvezza: chi lo ha atterrato è il Risorto, che era stato crocifisso sul Calvario; la realtà del Corpo mistico, intuita attraverso l’identificazione tra i cristiani e Cristo: Io sono Gesù, che tu perseguiti (At 9,5); la presenza nel cristiano dello Spirito di Gesù, con la libertà che crea e la forza che comunica; la rottura tra il prima e il poi: in un istante aveva svestito l’uomo vecchio e rivestito quello nuovo. Questa di Paolo è un tipo di esperienza battesimale che avrà dei fatti paralleli fino ai nostri giorni, ma non è la più comune.

Per gli altri apostoli le cose sono andate diversamente. Essi hanno ricevuto da Gesù una formazione lenta e progressiva, distribuita sull’arco di alcuni anni. Ammessi all’intimità di Cristo, solo lentamente scoprono il mistero della sua persona. La passione, la morte e la risurrezione di Cristo li trovano ancora esitanti e sconcertati. Il battesimo di fuoco lo ricevono nella Pentecoste, dalla quale escono veramente trasformati. Lo Spirito completa una formazione che la stessa pedagogia di Gesù aveva cominciato ma non aveva del tutto portato a termine. Questa esperienza presenta un altro paradigma, comune alla maggior parte dei convertiti adulti.

Ma ce n’è un terzo, quello di tutti noi, battezzati da bambini, che ha qualcosa in comune e col primo e col secondo. Ha in comune con Paolo il fatto che Cristo entra nella nostra vita con un colpo di grazia, senza alcuna preparazione. Ha in comune con gli altri apostoli, la gradualità della scoperta del dono. Si differenzia dall’uno e dagli altri perché la rottura si situa all’alba stessa della vita umana; ed esige di afferrarla tutta in una conversione progressiva che si estende per tutta la vita. Il battesimo si presenta così come il punto di partenza di un’ascensione laboriosa.

Entra qui in gioco il tema degli impegni battesimali che possiamo riassumere in due parole: rimanere in Cristo, vivere Cristo. S. Gregorio Nazianzeno si è espresso in una formula sintetica: Per dire tutto in una parola: un patto con Dio di vita nuova e di condotta irreprensibile: ecco come bisogna comprendere il battesimo nella sua essenza e nella sua forza.

Bisogna che tutto ciò che era pre-esigito al battesimo degli adulti (fede, conversione, rottura), il battezzato, divenuto adulto, lo assuma coscientemente e lo viva con coerenza. Bisognerà accompagnare il battezzato in quell’universo divino, in cui il battesimo lo ha introdotto e dove Dio ha moltiplicato le meraviglie della sua grazia. Possiamo tentare qui di cogliere in sintesi gli elementi in ordine alla vita cristiana.

Afferrati da Cristo

Mi pare che tutto si riconduca ad un unico fatto di immensa portata: la vita del battezzato è afferrata dal Cristo. Si entra in lui, ci si riveste di lui, secondo le forti espressioni delle lettere di Paolo. È quello che vuole esprimere la formula biblica del battesimo nel nome di Gesù.

Il termine nome designa indubbiamente la persona. Si vuole dunque indicare l’unione del credente al suo Signore, la piena solidarietà con lui fino ad avere una sola volontà e un’unica speranza, quella di legare il proprio destino alla persona di Gesù, di affidare a lui la propria salvezza e di sottoporsi totalmente al suo influsso: si diventa un solo essere con lui, si vive della sua vita. È un’esistenza in cui Cristo è tutto. Siamo qui veramente nel centro del battesimo, ove convergono tutte le linee di forza dell’esistenza cristiana.

Un’esistenza afferrata così da Cristo fino alle sue radici, ha come obbiettivo ultimo quello di trasformarsi in lui: E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore (2Cor 3,18). Questa vita riproduce il mistero di Cristo in tutte le sue componenti:

1) Cristo è luce: il battezzato è luce, è illuminato;

2) La vita di Cristo è tutta orientata al mistero pasquale: il battezzato è immerso nella morte di Cristo e sepolto con lui per risuscitare con lui a vita nuova (Rm 6,3 ss; Col 2,12). Morendo al peccato e vivendo per Dio, come Gesù, il battezzato comunica alla sua pasqua;

3) Cristo si prolunga nel suo corpo mistico: il battezzato ne entra a far parte come membro vivo, è introdotto nella famiglia dei rigenerati;

4) Cristo è diventato con la risurrezione spirito vivificante: il battezzato diventa un solo spirito con lui (1Cor 6,17) e pone costantemente la sua vita sotto la mozione dello Spirito di Dio;

5) Cristo completerà la sua opera nel suo ritorno glorioso alla fine dei tempi: il cristiano è un uomo che aspetta, vigilante nell’attesa, il ritorno del suo Signore.

Ne deriva che la vita cristiana conosce un’unica suprema legge: essere in Cristo Gesù. C’è una sola cosa da fare: unirsi a lui, crescere in lui fino alla piena statura, fino a poter dire con Paolo: In me vive Cristo.

San Paolo ha coniato una terminologia nuova in cui ha preposto a tutte le parole con cui esprime le fasi del mistero di Cristo la preposizione con; e poi ha usato le stesse parole per tutti quelli che sono in Cristo: con-morti, con-sepolti, con-risuscitati, con-glorificati, con-seduti alla destra del Padre (Rm 6,4-11; Col 2,12; ecc.). Il cristianesimo in radice è tutto qui. Dovremo arrivare a comprendere quanto sia esaltante questo nostro destino che ci rende totalmente solidali con il suo; non per riproporre una copia sbiadita del divino esemplare, ma per rivelare la straordinaria ricchezza della sua grazia (Ef 2,7) e completare quello che manca alla sua passione come dice s. Paolo. Ognuno riceve per questo la sua parte di grazia divina, secondo la misura del dono di Cristo (Ef 4,7): e così riproduce Cristo in quel modo originale e irripetibile che risponde alla sua vocazione personale. Offre a Cristo la possibilità di vivere in lui alcuni modi di esistenza che non ha potuto vivere nella sua natura umana individuale per i limiti e i condizionamenti terrestri che accompagnano ogni esistenza. La nostra vita assunta da lui è così chiamata a diventare un completamento del suo mistero e della sua opera; ed egli continua a manifestare agli uomini in modo vivo e sempre nuovo la sua presenza e il suo volto (cfr. LG, 50).

Non è possibile in questo breve testo illustrare tutti i molteplici aspetti del mistero di Cristo, che sopra abbiamo brevemente enunciato, e che ogni vita cristiana dovrebbe rendere luminosamente visibili. Vorrei però indicare le tonalità prevalenti che essa deve assumere se vuole sviluppare con coerenza i germi del battesimo.

Un cammino progressivo nella luce

L’esperienza cristiana si rivela anzitutto come un’esperienza di luce.

Consegnando la candela accesa al cero pasquale, la chiesa dice ai battezzati: Ricevete la luce di Cristo. È l’operazione propria del battesimo quella di aprire gli occhi alla luce, cioè di far entrare nel mistero di Dio attraverso quella luce divina che è la fede. Rievocando l’esperienza del suo battesimo, san Cipriano scrive: Quando l’acqua rigeneratrice ebbe cancellato le colpe del mio passato, il mio cuore purificato fu invaso da una luce dall’alto. È la stessa linea in cui si pone san Paolo quando mette in parallelo il nostro nascere alla vita divina con la creazione della luce: E Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo (2Cor 4,6). In questa luce bisogna camminare per tutta la vita, secondo la consegna dataci dall’apostolo Giovanni (1Gv 1,5-7). Ed è una luce che sul cammino cresce fino ai bagliori della visione beatifica, anche se quaggiù rimane una luce che brilla nelle tenebre (Gv 1,5). Non basta portare questa fiaccola sempre accesa sui sentieri della vita: bisogna che la fiammella ingigantisca fino a diventare un incendio perché il nostro mondo possa vedere le cose con l’occhio di Dio come dice san Tommaso d’Aquino; perché il nostro mondo possa cogliere la presenza viva del Risorto nei segni della chiesa e nella realtà quotidiana. Mentre sembra delinearsi nella nostra generazione quella stanchezza della verità di cui parlava Paolo VI, c’è bisogno di anime ardenti che godano di questa luce, di questa verità, e la diffondano e la propongano come una verità eternamente giovane e la riscoprano ogni giorno con lo sguardo stupito e incantato di un fanciullo.

Ci vogliono dei credenti che aderiscano alla verità con una fede granitica, che possano pronunciare, con adesione autentica e vibrante, la formula che il nuovo rito del battesimo mette sulle loro labbra: Questa è la fede della chiesa che ci gloriamo di professare. Ma per crescere e rimanere sempre così fresca, giovane e ferma, la fede ha bisogno di un continuo rinnovamento. Nel battesimo noi rivestiamo l’uomo nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore (Col 3,10). E quindi anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno (2Cor 4,16). Questo profondo desiderio di continuo rinnovamento che fa la giovinezza dello spirito, è essenziale alla vocazione battesimale.

Bisogna essere capaci di una santa novità, disposti a ricominciare ogni giorno con lo stesso slancio degli inizi. La natura si logora e conosce la vecchiaia, ma la grazia si rinnova in un progresso ascensionale, che non conosce stasi o declini, verso la pienezza del Cristo, nel vigore di una perenne giovinezza. Solo un cristianesimo che si presenta con questo volto può affascinare le nuove generazioni e proporsi con credibilità al mondo.

Tonalità pasquale

Tutto questo è possibile solo se la vita è segnata profondamente dal mistero pasquale. È la pasqua di Cristo che imprime all’esistenza cristiana la sua tonalità prevalente. Noi apparteniamo alla chiesa dei risorti.

Non è solo la celebrazione del battesimo che deve risplendere della gioia della risurrezione, ma tutta la vita cristiana che da lì nasce. E il mistero pasquale è morte e vita: vita attraverso la morte. Qualcosa deve morire ogni giorno. San Paolo lo ha ben compreso: Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2,20); Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale per me il mondo è stato crocifisso, come io per il mondo (Gal 6,14). Il sacrificio di Cristo aspetta da noi un compimento, un completamento nella nostra persona: completamento della passione del Capo mediante il sacrificio delle membra, completamento della passione di Cristo mediante la passione dei cristiani (Col 1,24; Gal 11,20; 6,17; 2Cor 4,10).

Sta scritto nella struttura stessa della nostra esistenza battesimale che dobbiamo crocifiggere la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze (Gal 5,24). Il rito del battesimo non è un vacuo simbolismo: quella morte che l’immersione significa e attua sacramentalmente, deve rendersi visibile negli atti concreti. S. Leone Magno dice: Bisogna completare con i fatti ciò che è stato celebrato con il sacramento. Si ha la netta impressione che la spiritualità di alcuni cristiani stia perdendo questa dimensione della pasqua. Se si toglie la croce, si perde la misura di tutto: essa è la chiave per aprire tutti i misteri, è la porta che introduce alla vita.

Però la morte rimane pur sempre solo una porta: il battezzato va verso la risurrezione e la vita. Già ora vive nel mistero la vita del Risorto, in attesa che anche il suo corpo mortale sia rivestito di immortalità.

La Risurrezione è il punto di appoggio per sollevare il mondo e per far soffiare un vento nuovo e purificatore nel mondo attuale. Se alcuni uomini credessero questo veramente e si lasciassero portare da questa fede nella loro azione terrestre, molte cose cambierebbero. Vivere della Risurrezione, è proprio questo il significato della pasqua (Dietrich Bonhoeffer). Essa ha cambiato la faccia del mondo e il senso della vita.

È la chiave di volta della nostra fede: La Risurrezione significa che Dio con il suo amore e la sua onnipotenza pone fine alla morte e chiama in vita una nuova creazione. Perciò l’uomo rimane uomo, anche se è un uomo nuovo, rinato, che non assomiglia più all’uomo vecchio. Fino a quando attraverserà la frontiera della morte, anche se è risorto con Cristo, egli rimane nel mondo penultimo, il mondo in cui Gesù è entrato e in cui è stata eretta la croce... ma la vita eterna, la nuova vita entra con forza sempre più grande nella vita terrena e si conquista spazio in essa (Dietrich Bonhoeffer). Dobbiamo chiederci in che misura abbiamo permesso alla Risurrezione di conquistare spazio nella nostra vita; e in che misura il nostro apostolato apre negli altri le vie a questa conquista.

Diceva Nietzsche, col suo sarcasmo che talora colpiva nel segno: Bisognerebbe che essi (i cristiani) mi cantassero canti migliori, perché io imparassi a credere nel loro Salvatore. Bisognerebbe che i suoi discepoli avessero di più l’aria di gente salvata. Sì: i non credenti dovrebbero osservare sulla nostra fronte l’irraggiare di quella gioia che venti secoli fa rapiva gli spiriti eletti del mondo pagano. Il cristiano deve avere il cuore di un uomo risorto con Cristo. È debitore di questo al suo battesimo. E tutti sanno quanto sia faticosa questa conquista. La grazia di Cristo è una grazia che costa. Le due facce del mistero pasquale sono inseparabili. Non c’è gioia senza croce, non c’è vita senza morte.

Basta vedere per quale cammino Cristo è giunto alla gloria.

La vita cristiana deve manifestare il primato del divino

C’è un’ultima cosa che la liturgia battesimale grida con tutti i suoi riti, ed è questa: l’esistenza cristiana è posta tutta sotto l’insegna del soprannaturale. La chiesa ha bisogno di questo messaggio, oggi forse più di ieri.

Il problema della secolarizzazione ha preso forse le mosse agli inizi da alcune esigenze legittime, ma ha tentato poi di scoronare il cristianesimo del suo alone divino per rinchiuderlo in dimensioni puramente umane e sociali. Se il disegno di Dio ci ha strappati dalla nostra nullità per introdurci nel mistero della sua vita intima, questo fatto ha il diritto di porsi al centro della teologia e della vita, facendo impallidire al confronto ogni altra realtà. Il Padre ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati (Col 1,12-14).

Bisogna prendere coscienza che con ciò abbiamo compiuto un salto qualitativo infinito. Questa destinazione divina deve ispirare e sostenere ogni compito terrestre, e non viceversa. Il soprannaturale non è solo uno stimolo per il nostro impegno terrestre. Dio non è un mito di cui gli uomini possono servirsi per un servizio umano più efficace. Dio è Dio, è la Realtà, è l’Assoluto. A lui spetta il primato in ogni cosa. E nell’uomo stesso il primato spetta a ciò che c’è in lui di divino. Se l’uomo è composto di corpo, di anima e di Spirito Santo, tutto in lui è polarizzato a questo Spirito che è anima dell’anima e vita della vita.

Non sa che cosa farsene il nostro mondo, assetato del divino più di quanto crediamo, di un naturalismo, di un umanesimo senza fondamento, di una filantropia senza mistero. Ha bisogno della luce divina della fede per superare il suo smarrimento. Ha bisogno di esistenze nelle quali traspaia la realtà trascendente: Cristo e la sua pasqua. Il mondo vuole dei testimoni della morte e della risurrezione di Cristo: con la parola e con la vita. Sarebbero compromesse le sue stesse sorti umane, se questa attesa andasse delusa. Questo avverrà solo quando il battesimo sarà vissuto e l’esistenza umana ne sarà il coerente sviluppo.

Siamo cristiani per questo.