LA PREGHIERA DI RINGRAZIAMENTO

N. 12

 

Cristiano non è colui che chiede delle grazie, o riceve delle grazie.

E’ colui che rende grazie.

Non per nulla l’ Eucarestia, che rappresenta l’atto più sublime del culto cristiano, significa, letteralmente, “azione di grazie”.

Partiamo da una constatazione: se facciamo un inventario dei contenuti della nostra preghiera, ci accorgiamo che la domanda occupa un posto preponderante rispetto al ringraziamento.

Non soltanto troppo spesso ci scordiamo di ringraziare Dio dopo aver ottenuto quanto chiedevamo, no, la dimenticanza è ancor più radicale.

Infatti riusciamo ad essere puntigliosi quando si tratta di constatare ciò che ci manca, per stilare la lista delle pressanti richieste.

Ma ci dimostriamo sbadati quando dovremmo accorgerci di ciò che riceviamo quotidianamente.

Avvertiamo la mancanza.

Non sappiamo prendere atto del dono, specialmente di quello che ci viene recapitato silenziosamente, con regolarità quotidiana.

Il grande peccato, allora, diventa la distrazione.

Occorre precisare: non sono tanto le “distrazioni nella preghiera”.  Ma la distrazione è precedente alla preghiera, non ci porta alla preghiera, non fa nascere in noi l’esigenza della preghiera per

“dire grazie”.

San Paolo, nella lettera ai Colossesi, dopo aver abbozzato un programma molto semplice, ma estremamente impegnativo, di vita comunitaria, in cui devono trovare posto la misericordia, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza, la sopportazione, il perdono, la carità, conclude con un invito perentorio: “…E siate riconoscenti!..” (3,15)

Subito dopo aggiunge: “…Cantate a Dio di cuore la vostra gratitudine con salmi, inni e cantici ispirati…”.

E conclude: “…Tutto quello che fate in parole e opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre…”

Il punto di partenza è dunque l’esperienza dell’amore gratuito di Dio (“amati e scelti”), che conferisce alla preghiera una tonalità di prorompente riconoscenza.

Il popolo di Dio che ha sperimentato la grazia, diventa capace di gratitudine.

E questa riconoscenza non permea soltanto la preghiera, ma l’intera vita del cristiano in tutte le sue manifestazioni.

La gratitudine è stata definita come “la memoria del cuore”, ma non si tratta soltanto di ricordare.

Occorre rendersi conto, accorgersi di una realtà presente.

Riconoscenza deriva da “conoscere”.

Qui, però, non è questione semplicemente di “apprendere con l’intelletto”, ma di far entrare in azione il cuore.

Per cui una certa realtà viene vista, accolta, interpretata, capita, ricevuta dal cuore.

La grande nemica della riconoscenza è certamente l’abitudine; quando si da tutto per scontato, o addirittura dovuto, si diventa incapaci di dire grazie.

Se invece riconosco che “tutto è grazia”, allora tutto diventa occasione per “rendere grazie”.

“…Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?...” (Salmo 116,12)

Io devo qualcosa a Qualcuno.

Io devo qualcosa a tutti.

Se uno non si sente debitore, nella vita accamperà sempre e soltanto dei diritti, delle pretese, non sarà mai amico del dovere.

Non sentirà il “dovere di contraccambiare”.

Il dovere è l’altra faccia della gratitudine.

Chi non ama il dovere, non possiede il senso della grandezza e della preziosità della vita.

Non un dovere cupo, opprimente.

Ma una dovere gioioso, che si esprime nel canto, oltre che nel lavoro.

“Dormivo e sognavo che la vita è gioia.

Mi svegliai e mi accorsi che è dovere.

Mi misi all’opera e mi resi conto che

 il dovere è gioia”   (Tagore)

 

La preghiera come racconto confidenziale

“Signore, ho qualcosa da raccontarti.

Ma è un segreto tra me e Te”.

La preghiera confidenziale può iniziare più o meno così.  E può snodarsi sotto forma di racconto. Piano, semplice, spontaneo, in una tonalità dimessa, senza amplificazioni.

Si tratta di riferire un episodio che ti ha visto protagonista nascosto; un’azione senza risalto, un gesto che è sfuggito all’attenzione generale.   

Nessuno si è accorto di nulla.

E allora ti apri a Lui, non per lamentarti, ma per offrirGli un “dono intatto”, esclusivo, sottratto

alla curiosità altrui.

Nessuna gratificazione, salvo quella di aver compiuto “una bella azione” per Colui che ami.

L’equivalente del profumo costosissimo, raro, che la donna ha “sprecato” per  Gesù, spezzando anche il flacone fabbricato con materiale prezioso.

Stavolta il valore dell’azione dipende dal prezzoche hai pagato in termini di segretezza.

Convinciti che è molto importante questo tipo di preghiera confidenziale nella nostra società all’insegna dell’apparire, dell’ esibizione, della vanità.

Ognuno, a dispetto delle professioni di umiltà, esige che dalla platea vengano gli applausi.

Tutto deve diventare notizia.

Non importa il prodotto.  Bisogna allestire una grandiosa vetrina.

Eppure l’amore ha bisogno soprattutto di umiltà, di pudore.

L’amore non è più amore senza un contesto di segretezza, senza la dimensione di riservatezza.

Ritrova dunque nella preghiera la gioia del nascondimento, della non-appariscenza.

 

Ti chiamo amico….

Perché sei fratello che corregge, ma non umilia.

Perché sei la mano che accompagna,

ma non forza.

Perché sei il cuore che ama, ma non esige.

Perché sei sguardo che scruta,

ma non giudica.

Perché sei parola che previene,

ma non tormenta.

Perché sei immagine di Dio,

appunto per questo.