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LA STORIA DELLE INDULGENZE

 

La storia delle indulgenze può essere divisa in quattro periodi.

Nel primo, che va dall’età apostolica all’VIII sec., le indulgenze sono uno sconto della pena canonica prevista per ottenere l’assoluzione dei peccati e vengono concesse attraverso le suppliche dei martiri. Questi, in punto di morte trasmettevano degli scritti chiamati supplices belli Martyrum ai vescovi affinché venga rimessa la pena canonica di questo o quel penitente. L’indulgenza, in questa fase, poteva essere concessa a singole persone in virtù del sacrificio del martire.

In questo periodo il sacramento della confessione, per come veniva celebrato nei primissimi tempi della storia cristiana, rappresentava sotto certi aspetti un secondo battesimo. La differenza stava nel fatto che, mentre il battesimo rimetteva tutti i peccati e la pena subito e in modo completo, la confessione prevedeva un lungo e penoso cammino di penitenza pubblica, la quale doveva essere scontata prima dell’assoluzione dei peccati.

Con la modifica di questo cammino alcuni cristiani, nonostante avessero rinnegato la fede durante le persecuzioni e fossero stati sottoposti dal vescovo a severissime penitenze, si rivolsero ai confessori che, in prigione, attendevano il martirio. Ottenevano un biglietto di raccomandazione per il vescovo, chiamato libellum pacis, il quale induceva il vescovo stesso, per riguardo verso i martiri, ad abbreviare o condonare la penitenza.

Nel secondo periodo, che va dall’VIII sec. al XIV sec., si introduce l’usanza di dare l’indulgenza scambiando la pena canonica per i peccati confessati, di solito piuttosto gravosa, in un’opera più leggera. Ci sono indulgenze per le stazioni quaresimali, per le Crociate e per i pellegrinaggi. Nel 1300, con il primo Giubileo indetto da papa Bonifacio VIII, viene offerta l’indulgenza ai pellegrini che si recheranno a Roma e visiteranno le Basiliche.

Tra il VII e l’VIII sec. la penitenza pubblica scompare e le succede la penitenza privata e nascosta, decisa dal confessore. Questa deve essere eseguita dopo e non prima (come nella penitenza pubblica) aver ricevuto l’assoluzione dei peccati commessi.

"Papi e vescovi, fuori di confessione continuano a commutare queste penitenze in altre meno pesanti oppure più pesanti, ma meno lunghe. Si tratta, di solito, di preghiere, di elemosine ai poveri, di pellegrinaggi e anche di azioni un po’ strane per noi, come il dormire sulle ortiche o con un morto sullo stesso sepolcro" (Albino Luciani, Ritiro predicato alle Superiore religiose del Patriarcato di Venezia, maggio 1973).

L’indulgenza propriamente detta appare nel secolo XI, quando Papi e vescovi non si limitano più a commutare penitenze già fissate, ma rimettono una parte della pena temporale indistintamente a tutti coloro che compivano una determinata azione; condizioni preliminari erano tuttavia, come sempre, il pentimento e la confessione dei peccati. A partire da questo periodo, l’indulgenza viene accordata come incoraggiamento e premio di un’opera di pietà (anche piccola), come la visita di una chiesa appena consacrata, un’elemosina ai poveri o a un monastero. Un’importanza particolare hanno in quest’epoca e nei secoli successivi le indulgenze della Crociata, concesse a chi andava a combattere contro i mori in Spagna, i saraceni in Sicilia e i turchi in Palestina. I Papi accordano la remissione non parziale ma totale della penitenza dovuta per i peccati.

A partire dal XII sec. le concessioni delle indulgenze aumentarono considerevolmente. Non è da escludere che talvolta qualcuna possa essere stata suggerita da finalità meno buone, dato che il penitente suggerito dall’indulgenza era solito fare un’offerta volontaria in denaro. Si noti però che "i rescritti di esse, anteriori al sinodo Lateranense, raramente accennano ad obblighi di elemosine; né le cronache di quell’epoca registrano abusi di tal genere" (Righetti, op. cit. , vol. IV, pag. 219).Un’indulgenza plenaria analoga a quelle delle Crociate viene concessa nel 1300 da Bonifacio VIII a quanti, contriti e confessati, abbiano vistato le Basiliche di San Pietro e San Paolo (per 30 giorni se romano, per 15 giorni se pellegrini). Il Papa stabilisce anche che quest’indulgenza plenaria generale possa essere lucrata ad ogni fine secolo. Questa grande indulgenza riscosse moltissimi consensi da parte di tutti i fedeli cristiani. Successivamente papa Clemente VI nel 1343 fissò il Giubileo ogni 50 anni; Urbano VI nel 1378 ogni 33 anni, per commemorare gli anni di Gesù Cristo, e Paolo III nel 1475 ogni 25 anni.

 Gregorio XIII nel 1575, al termine del Giubileo romano, estese per la prima volta alla Chiesa universale il perdono, per la durata di sei mesi, in favore di chi non aveva potuto recarsi a Roma. Nel 1925 Pio XI ampliò questo beneficio a un anno intero, concedendolo anche a chi aveva lucrato le indulgenze giubilari a Roma.

Nel terzo periodo, che va dal XIV al XVI sec., l’uso di concedere l’indulgenza si diffonde. Si introduce la possibilità di ottenerle con offerte in denaro, definite oblationes, che servono a sovvenzionare opere di apostolato.

Il popolo cominciò però a pensare che l’indulgenza non liberasse solo dalla pena temporale, ma anche dalla colpa, e che dunque bastasse lucrarla per ottenere anche la remissione dei peccati. Questa errata convinzione contribuì a moltiplicare gli abusi arrivando a ridurre l’elargizione delle indulgenze a un’operazione finanziaria. Questi abusi diedero a Martin Lutero il pretesto per la sua ribellione contro la Santa Sede. Con il Concilio di Trento (1545 – 1563) si correggeranno gli abusi stabilendo che il tesoro delle indulgenze sia offerto ai fedeli piamente, santamente e integralmente, "affinché tutti possano veramente comprendere che teli tesori celesti della Chiesa vengono dispensati non per trarne guadagno ma per devozione" ("ut tandem caeleste hos Eccesiae thesaurum non ad questum, sed ad pietatem exerceri omnes vere intelligant" Conc. Trid. Sess. XXI, De reform., 9).

Il desiderio di avere delle indulgenze e l’ambizione di poterne offrire di più delle altre chiese, indusse persone ignoranti o di poca coscienza ad inventare scritti vescovili o papali con i quali venivano concesse. Gli abusi che vengono rinfacciati contro l’uso cattolico delle indulgenze in quel periodo storico riguardano due elementi: l’idea (errata) che la remissione delle pena temporale sciogliesse anche dalla colpa sostituendo la confessione sacramentale, e le collette di denaro applicate alle indulgenze. La Chiesa ribadì sempre la distinzione tra remissione della pena temporale tramite l’indulgenza e la previa e necessaria confessione sacramentale (Paulus, Geschichte des Ablasses, II, 137). Nel 1450, al Concilio di Magdeburgo, il Legato pontificio, cardinale Nicolò de Cusa, condannò espressamente coloro che predicavano che l’indulgenza esentava il fedele dalla confessione.

Per quanto riguarda l’altro abuso, quello delle collette in denaro, esso fu legato alle bramosie di principi, re, e vescovi, i quali pretesero il diritto di prelevare quote notevoli dalle somme raccolte dai quaestores, coloro che erano incaricati di notificare le indulgenze e di raccogliere le elemosine, visto che erano state racimolate nei loro territori. Il sacerdote invitava i fedeli all’acquisto dell’indulgenza, il quaestor riscuoteva il denaro pretendendo a volte offerte esagerate anche da coloro che ne erano esentati e spesso enunciava falsi principi. Contro tutto ciò si levò non solo la protesta di Martin Lutero, ma anche e soprattutto la denuncia di tante persone sante e autorevoli. Nel Concilio di Trento per mettere fine a questi disordini furono proibite le questue e aboliti i quaestores di indulgenze. La pubblicazione di queste ultime era riservata al vescovo e i due membri del Capitolo, da lui incaricati di ricevere le offerte spontanee dei fedeli, non potevano prelevare nessuna quota, anche minima, per loro.

Nel quarto periodo, che va dal XVI sec. ai nostri giorni, i Papi hanno regolato la concessione delle indulgenze, stabilendone il numero e l’autenticità. L’ultima riforma è di Paolo VI, che ha semplificato le indulgenze abolendo, per quelle parziali, la determinazione temporale.

Passata l’epoca degli abusi nelle indulgenze ritorna essenziale l’aspetto del pentimento e della conversione del fedele. Oggi la Chiesa precisa che non esiste automatismo alcuno che permetta di ottenere l’indulgenza senza una vera conversione, un sincero distacco dal peccato e un vero pentimento dei peccati commessi e confessati. "Il perdono concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale cambiamento di vita, una progressiva eliminazione del male interiore, un rinnovamento della propria esistenza" ( Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium, 1998). L’indulgenza plenaria "esige il totale ripudio di ogni affetto al peccato, anche semplicemente veniale: è quindi incitamento ad impegnarsi nel modo migliore per fuggire il peccato. Essa esige inoltre l’uso fruttuoso della Penitenza e della Santissima Eucarestia" ( Luigi De Magistris, " Il dono dell’indulgenza", in "L’Osservatore Romano", 24 febbraio 1999).