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LA PREGHIERA DI BENEDIZIONE

N. 11

“… Benedite, poiché siete stati chiamati per ereditare la benedizione…” (1 Pietro 3,9)

La preghiera risulta impossibile se non si ha il senso della lode, che implica la capacità di stupirsi.

La benedizione (= ber’ ha) occupa un posto di spicco nell’ Antico Testamento.

Essa è come “una comunicazione di vita da parte di Jahweh”.

Tutto il racconto della creazione è punteggiato dalle benedizioni del Creatore.

La creazione è vista come una grandiosa “opera di vita”: qualcosa di buono e di bello insieme.

La benedizione non è un atto sporadico, ma un’azione incessante di Dio.

E’, per così dire, il segno del favore di Dio impresso nella creatura.

Oltre che un’azione che fluisce in maniera continuata, inarrestabile, la benedizione è efficace.

Non rappresenta un vago augurio, ma produce ciò che esprime. Ecco perché la benedizione (come il suo opposto, la maledizione) viene sempre considerata nella Bibbia irreversibile: non si può ritrattare né annullare.

Raggiunge infallibilmente lo scopo.

La benedizione è principalmente “discendente”. E’ Dio soltanto che ha il potere di benedire perché è Lui la sorgente della vita.

L’uomo, quando benedice, lo fa a nome di Dio, come suo rappresentante.

Tipica, a questo riguardo, la stupenda benedizione contenuta nel libro dei numeri  ( 6,22-27):

“…Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il Suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il Suo volto e ti conceda pace…”

Ma esiste pure una benedizione “ascendente”.

L’uomo, così, può benedire Dio nella preghiera. Ed è questo un altro aspetto interessante.

La benedizione, in sostanza, vuol dire questo: tutto viene da Dio e tutto deve tornare a Lui nell’azione di grazie, nella lode; ma, soprattutto, ogni cosa va usata secondo il piano di Dio, che è un progetto di salvezza.

Fissiamo l’atteggiamento di Gesù nell’episodio della moltiplicazione dei pani: “…Prese i pani e , dopo aver reso grazie, li distribuì…” (Gv. 6,11)

Rendere grazie significa ammettere che ciò che si possiede è dono e va riconosciuto come tale.

In fondo la benedizione, come azione di grazie, comporta una duplice restituzione: a Dio (riconosciuto come Donatore) e ai fratelli (riconosciuti come destinatari, partecipi insieme a noi del dono).

Con la benedizione nasce l’uomo nuovo.

E’ l’uomo di benedizione, che è in armonia con tutto il creato.

La terra appartiene ai “miti”, ossia a coloro che non rivendicano nulla.

La benedizione, dunque, rappresenta una linea di confine che divide l’uomo economico dall’uomo liturgico: il primo tiene per sé, l’altro si dona.

L’uomo economico dispone delle ricchezze, quello liturgico, ossia l’uomo eucaristico, è padrone di se stesso.

Allorchè un uomo benedice non è mai solo: il cosmo intero si unisce alla sua minuscola parola di benedizione ( Cantico di Daniele 3,51  -  Salmo 148).

La benedizione ci impegna ad usare la lingua in un unico senso.

L’Apostolo Giacomo, con frasi roventi, denuncia un abuso purtroppo molto frequente: “…Con la lingua benediciamo il Signore e Padre, e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. E’ dalla stessa bocca che esce benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei. Forse la sorgente può far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce ed amara?Può forse, miei fratelli, un fico produrre olive o una vite produrre fichi? Neppure una sorgente salata può produrre acqua dolce…” (Gc. 3,9-12)

La lingua viene dunque “consacrata” attraverso la benedizione. E noi purtroppo ci permettiamo di “sconsacrarla” con la maldicenza, il pettegolezzo, al menzogna, le mormorazioni.

Adoperiamo la bocca per due operazioni di segno opposto e pensiamo sia tutto regolare.

Non ci rendiamo conto che le due cose si escludono a vicenda. Che non si può, al tempo stesso, “ dire bene “ di Dio e “dire male” del prossimo.

La lingua non può esprimere benedizione, che è vita, e insieme gettare veleno che minaccia e addirittura spegne la vita.

Il Dio che incontro quando “salgo fino al Lui” nella preghiera, è il Dio che mi obbliga a “ridiscendere”, a cercare il prossimo, a trasmettere un messaggio di benedizione, ossia di vita.   

L’esempio di Maria

E’ provvidenziale che sia rimasta una preghiera della Madonna : il Magnificat.

Così la madre del Signore ci fa da maestra nella preghiera di lode e di ringraziamento.

E’ bello avere Maria come guida, perché fu lei a insegnare a Gesù a pregare; fu lei che gli insegnò le prime “berakòth”, le preghiere di ringraziamento ebraiche.

Fu lei che fece scandire a Gesù le prime formule di benedizione, come facevano ogni mamma ed ogni papà in Israele.

Nazareth dovette diventare presto la prima scuola del ringraziamento. Come in ogni famiglia Ebraica si ringraziava dal “levar del sole fino al suo tramonto”.

La preghiera di ringraziamento è la più bella scuola di vita, perché ci guarisce dalla nostra superficialità, ci fa crescere nel rapporto con Dio, nella gratitudine e nell’amore, ci educa profondamente alla fede.

IL CANTO DELL’ANIMA

“Siate capaci di colmare la terra di Misericordia!

Riempite tutte le solitudini di oggi, tutte le

 assenze di amore, tutte le nostalgie di accoglienza.

Siate mani di risurrezione.

Abbiate la gioia di Cristo Risorto

e presente in mezzo a noi;

 la gioia della preghiera che giura sull’impossibile.

La gioia della fede, del chicco di grano,

seminato, forse per tanto tempo,

nell’oscurità della terra, squarciato dalla morte,

dalla persecuzione, dal dolore,

e che diventa, adesso,

spiga di pane, di primavera”.

(Suor Maria Rosa Zangara, fondatrice  delle figlie della Misericordia e della Croce)